Commercio: i piccoli chiudono, i grandi non crescono più

Perché il commercio possa vendere  le persone devono  avere reddito da spendere. Purtroppo questo, il reddito dichiarato almeno, non si è ancora ripreso dalla crisi ed è sceso, dal 2008 al 2015, del 16 per cento in provincia di Rimini, dell’11 per cento a Forlì-Cesena e del 9 per cento a Ravenna.

Qualcuno sarà tentato di sostenere che probabilmente è aumentata l’evasione. Potrebbe essere, ma va tenuto anche conto che nello stesso periodo è rimasto stazionario, quando non diminuito come a Ravenna, il valore aggiunto pro capite. Cioè la ricchezza creata in rapporto agli abitanti. Ricchezza che se non c’è, non  può essere nemmeno distribuita.

Nel 2016, secondo il Rapporto 2016 sull’economia regionale di Unioncamere,  la spesa per consumi finali delle famiglie emiliano-romagnole sarebbe aumentata  (+1,5 per cento), ma su ritmi più lenti rispetto alla crescita dell’1,8 per cento del 2015.  Per l’anno in corso (2017) si prevede un incremento dei consumi regionali dell’1,2 per cento; spesa che li riporterà, se tutto andrà bene, ai livelli pre-crisi.  Se queste previsioni si avvereranno vuol dire che per un decennio le famiglie non hanno avuto un euro in più da spendere.

Questo, come è facile immaginare, ha avuto conseguenze sulla rete commerciale di tutte le province.  La provincia di Rimini, dal 2010 al primo trimestre 2017 ha perso, tra ingrosso e dettaglio, 356 attività  commerciali, Forlì-Cesena 445, Ravenna  401.  In totale, le tre province della Romagna hanno lasciato sul terreno 1.202 attività commerciali, in poco meno di  sette anni.  Nel resto d’Italia è andata anche peggio.

Ad una media, per la Romagna, di tre addetti per attività, vuol dire che sono andati persi 3.606 posti di lavoro. Dal 2008, quando è scoppiata la crisi, ancora di più.  Forse, qualcuno, è andato in pensione, ma tanti sono rimasti a terra.

Non si può nemmeno sostenere che sia aumentata la grande distribuzione organizzata (GDO), perché, nel periodo 2010-2015, le grandi strutture con superficie di vendita (alimentari e non) superiore a 2.500 mq. sono scese da 8 a 3 in provincia di Rimini, da 12 a 6 a Forlì-Cesena e da 7 a 4 a Ravenna.

Non sono andate meglio le strutture intermedie (da 400 a 2500 mq. di superficie vendibile), anche per la saturazione del mercato, che sono più che dimezzate in tutte le province della Romagna.

 

 Boom degli ambulanti, soprattutto stranieri ….non in Romagna

 Controcorrente, rispetto alle rete commerciale stanziale, va il commercio senza posto fisso. Perché negli ultimi quattro anni (2012-2016)  i venditori ambulanti, in Italia, sono cresciuti dell’8 per cento, con un saldo positivo (imprese registrate – quelle cancellate) di circa 15 mila unità (su un totale nazionale di 195 mila).  Gli ambulanti rappresentano un quinto circa del commercio al dettaglio.   Che ci sia un collegamento tra questa crescita e la diminuita capacità di spesa degli italiani è più di una ipotesi.

In ogni caso la crescita del commercio ambulante è stata resa possibile, in modo particolare, dagli ambulanti stranieri, che sono aumentati del 30 per cento. In testa  i cittadini provenienti dal Marocco, Bangladesh  e Senegal.

In assoluto Napoli mantiene il titolo di capitale delle bancarelle, ma anche le altri città, a partire da Roma e Milano, non sono da meno.

Chi non sembra, invece, partecipare a questa impennata dei venditori ambulanti è la Romagna e l’intera regione. In particolare Rimini e Ravenna perdono qualche centinaia di  ambulanti

Niente di drammatico, ma associato al ridimensionamento generale del commercio è un segnale chiaro di difficoltà del settore.   Difficoltà che andrebbe affrontata rispetto al diminuito potere d’acquisto dei residenti, ma anche nei suoi collegamenti con il turismo, piatto da troppo tempo.