Casa cara: qui serve un piano

di Lucia Renati

Da bambini, c’insegnano che il posto più sicuro al mondo, quello in cui non ti può succedere nulla di brutto, è casa tua. Ecco perché la casa è importante. Ecco perché, il titolo dell’ottavo rapporto Caritas 2011 sulle povertà, (in collaborazione con l’ufficio statistica della Provincia), che raccoglie i dati della Caritas diocesana e di 33 Caritas parrocchiali, somiglia tanto alla domanda di un bambino: “Ma la mia casa dov’è?”. Diretta e ficcante, come solo i bimbi sanno fare.

Questo titolo, letto in controluce, con la foto che fa da copertina al dossier, di un ragazzo che dorme in una torretta di salvataggio in spiaggia, è paradigma di un’emergenza sempre più grave, anche in provincia di Rimini.

Secondo il rapporto, fra i quasi 7mila disperati (800 in più rispetto al 2010), da un lato ci sono quelli che una casa ce l’hanno: un esercito di quasi 4.000 (37% in più del 2010) che ha bussato in Caritas per pagare bollette, affitto e rate del mutuo. Pensionati, casalinghe, migranti (romeni, marocchini e ucraini, ai primi tre posti per richieste di aiuto in tutta la provincia), disoccupati, ma anche chi non riesce ad arrivare a fine mese con lo stipendio. Dall’altro, ci sono gli homeless, i senza casa. 1.018, (200 in più rispetto al 2010, un record per un anno soltanto), cui si aggiungono i 1.115 con un domicilio di fortuna, i 48 che tirano a campare dentro un’auto, i 138 nelle roulotte, i 28 in case abbandonate. Numeri che fanno riflettere per una realtà, come quella riminese, con 16mila appartamenti sfitti.

Franco Carboni, direttore di Acer Rimini, come commenta questi dati?

“Le case sfitte ci sono, però parlare dello sfitto come se quello fosse il problema, è sbagliato. Il problema dell’offerta abitativa si è risolto nel momento in cui è stato abolito il vincolo dell’equo canone. Una volta, c’erano le case sfitte ma non venivano messe a disposizione. Oggi l’offerta è molto ampia, basta aprire i giornali specializzati. Il problema sono i costi. In questo momento di crisi, siccome l’80% degli sfratti è per morosità, i locatori, quando affittano, vogliono molte garanzie. La domanda ha una capacità di contrattazione molto bassa. Di queste case, una parte è a disposizione del turismo, una parte per la compravendita immobiliare e una parte per gli inquilini solvibili”.

Quindi le case ci sono ma i costi sono molto alti. Quante sono le domande?

“Abbiamo 2.300 domande di edilizia residenziale pubblica e 3.800 famiglie che, nel 2010, hanno fatto domande per il fondo affitti, ammettendo che chi fa domanda di edilizia residenziale fa anche domanda per il fondo affitti, ci sono circa 5.000 famiglie che vivono in condizione di disagio. Gli alloggi sono 2.300, dunque non sufficienti a coprire il bisogno abitativo”.

Come cercare di aiutare anche chi rimane fuori?

“Ci sono 280 alloggi che abbiamo preso in affitto dal mercato privato, come attività di agenzia per la locazione. È uno strumento attivo dal 2002 che può aiutare i comuni in caso di emergenza (famiglie sfrattate, madri con minori) per trovare un alloggio temporaneo per uno o due anni. È in ausilio all’intervento sociale dei comuni. Si chiama ‘affitto garantito’. Noi, essendo un ente pubblico, diamo la garanzia al proprietario della solvibilità, del ripristino, e dell’uscita dell’inquilino nei tempi stabiliti e il proprietario ce le dà in affitto intorno al 25% in meno”.

I costi quali sono?

“Per esempio, un trilocale riusciamo a prenderlo anche con 500 euro, un bilocale, anche arredato, a 450 euro. A Torre Pedrera abbiamo un residence di 14 alloggi, a 400-450 euro. A Marebello abbiamo 24 alloggi in un unico edificio che diamo alle famiglie che ci segnalano i comuni”.

Secondo lei, il sistema di assegnazione andrebbe rivisto?

“Sono regolamenti che a Rimini sono stati visti e rivisti più volte. L’unica cosa vera che bisognerebbe fare è ridurre i limiti per la permanenza. Ora sono molto alti, si può entrare con un reddito Isee di 32.500 euro, che si realizza con due stipendi da lavoro dipendente, e per uscire è di 51.000 euro, un reddito che ha il 10% della popolazione. Se vogliamo fare in modo che nell’edilizia residenziale ci sia un turn over, che cioè chi riesce ad uscire dall’indigenza esca anche dalle case popolari, bisogna ridurre i limiti di reddito. È una richiesta che è stata fatta alla Regione, che ha il potere di cambiare questi parametri. I Comuni della provincia hanno tutti fatto richiesta, c’è un disegno di legge per le modifiche. Adesso abbiamo un turn over del 3% nelle case popolari, dovuto a fatti biologici o naturali. È una contraddizione il fatto che, chi ha una casa assegnata ce l’ha per sempre. Questo è un errore”.

Insomma, lei dice che è un errore che, nelle case popolari chi entra, ci muoia anche. Evidentemente, però, non ci sono le condizioni per uscirne e lasciare spazio ad altri bisognosi. Avete qualche idea?

“Noi siamo un’azienda pubblica che deve fare delle cose. Ci concentriamo, più che sulla diagnosi, sulla terapia. Abbiamo in campo una serie di iniziative. In provincia di Rimini sono stati avviati 632 procedimenti di sfratto nel 2011. Siamo la quarta provincia in regione. Siccome non c’è praticamente più il fondo affitto nazionale, (nel 2012 la cifra stanziata dallo Stato alla Regione è di 862.000 euro a fronte di 20-30 milioni degli anni addietro), la Provincia di Rimini ha stanziato un fondo di garanzia di 380.000 euro per i casi di emergenza, ovvero le famiglie sfrattate. Noi abbiamo in gestione il fondo. La Regione ha aggiunto a questo fondo 3 milioni per i casi di emergenza. Il protocollo è già stato sottoscritto da Comuni, Provincia e organizzazioni sindacali. Mancano il  Tribunale di Rimini e il Prefetto, che è cambiato da poco (Claudio Palomba ndr). La prefettura avrebbe il compito di attivarsi nei confronti delle banche o delle fondazioni per alimentare questo fondo. Non è certo una soluzione definitiva. Ci sono anche altre esperienze virtuose in Provincia. Bellaria, per esempio, ha fatto un’iniziativa interessante: un bando che si chiama ‘casa Bellaria’ per comprare case dai proprietari ad un prezzo inferiore a quello di mercato e metterle a disposizione delle famiglie in graduatoria”.

Attualmente, dove vanno le famiglie o le persone sfrattate?

“Devono trovare una soluzione da soli. Ma tenga conto che di questi 632 sfrattati, in un anno ne escono un terzo. La procedura di sfratto esecutivo è molto lunga”.

Quali sono le prospettive future dell’edilizia residenziale pubblica tenendo conto dei fondi che scarseggiano?

“In costruzione ci sono 315 alloggi tra il 2012 e 2013, 80 a Viserba tra maggio e giugno, 89 a Viserbella, che consegneremo nei primi mesi del 2013, 42 a Torre Pedrera entro quest’anno, 58 a Tomba Nuova tra 2013 e 2014, poi c’è l’ex Macello dove abbiamo 27 alloggi che saranno finiti nel 2014. Gli alloggi a disposizione diventeranno 2.600. C’è però un problema.

Quale?

“Le misure che ha messo in atto il Governo sono contraddittorie: da una parte la cedolare secca, che prevede un’agevolazione fiscale molto importante perché si tassa solo il 20% dell’imponibile; dall’altra l’IMU che aumenta in modo significativo la tassazione sulla casa. Per esempio: chi faceva il canone concordato, aveva un aliquota ICI del 2 per mille, adesso è al 7,60. La cosa che si potrebbe fare, ma questo lo devono decidere i Comuni, è abbassare la quota. La quota fissa minima da dare allo Stato sulle seconde case è 3,80, il Comune potrebbe sacrificare una parte della sua quota. È nel suo interesse fare i modo che i canoni concordati continuino ad esistere, e che le persone abbiamo la possibilità di accedere al mercato privato e senza dover chiedere assistenza all’ente pubblico. Ci sono diversi elementi, dal mio osservatorio, che mi fanno vedere la crisi meno ‘nera’. Io sono anche amministratore di condominio, ho notato che c’è ancora un buon risparmio. Chi ha un reddito fisso continua a cavarsela e ci sono molte famiglie che hanno messo dei soldi da parte. Un altro aspetto è che abbiamo molte domande di ristrutturazione e manutenzione straordinaria dei condomini. È vero quello che dice la Caritas, però i punti d’osservazione sono tanti. Bisogna metterli insieme perché sennò si rischia di avere una visione deformata.

Bisogna tenere conto che ci sono strumenti di governo e che cerchiamo di farli funzionare”.