Banca Popolare Valconca: caduta deteriorata

 Il “destino” pare accanirsi contro le banche centenarie. Dopo Carim, infatti, che ha resistito per 177 anni prima di smontare l’ultima insegna nel settembre 2018, la Banca Popolare Valconca (BPV) è la seconda banca ultra centenaria (112 anni di attività) del territorio a dover issare bandiera bianca. 

A scorrere i resoconti annuali (bilanci) sembra di rileggere un copione già visto. A cominciare dalla stessa insistenza nella retorica territorialista di “ banca di riferimento per tutti coloro che vivono ed operano nelle nostre zone di insediamento..(fino al) .. lavorare fianco a fianco con la nostra gente”. Un attaccamento al territorio che, l’esperienza dimostra, diventa tanto più insistente quanto meno le cose vanno bene. Allora si cerca di vendere l’idea che siamo tutti sulla stessa barca, salvo scoprire che non è vero.

Infatti, anche in questo caso, lo sfoggio della retorica localista  procede di pari passo con la crescita di sofferenze, incagli e crediti scaduti, insomma di crediti deteriorati inesigibili, che ad un certo punto diventa difficile da gestire. Ma senza che nelle relazioni che accompagnano i bilanci si faccia mai cenno alle cause.

Crediti deteriorati che nel 2017, evidentemente venivano da prima, avevano raggiunto la discreta cifra di 335 milioni di euro, l’equivalente del 35 per cento dei crediti concessi. Vuol dire che era a rischio di non ritorno più di un euro prestato su tre.

Alla Carim, che sappiamo come è finita, i crediti deteriorati si erano fermati al dieci per cento di quelli concessi. Quindi, qui, siamo ben oltre.

Prestare soldi è un mestiere  difficile e il rischio è sempre in agguato, ma quando si mette a repentaglio un terzo dei crediti concessi è evidente che qualcosa, nella scelta della clientela o nel monitoraggio, non ha funzionato.

Una fabbrica di auto che dovesse buttare, perché difettose, un auto su tre, chiuderebbe immediatamente.

La Valconca è un territorio vasto, con diverse aree industriali di una certa importanza, ma per la BPV i settori privilegiati da finanziare riguardavano la “costruzione di edifici” e “le attività immobiliari”, che poi sono la stessa cosa, cioè il mattone, e non si capisce la distinzione.

Anche questo non è nuovo, perché la Carim viaggiava sulla stessa lunghezza di interessi.

La situazione è grave e lo stesso Consiglio di Amministrazione che firma il bilancio 2017 scrive, ad un certo punto, “non più eludibile ed improrogabile il perfezionamento di una operazione straordinaria di sinergia e/o aggregazione con altro Istituto bancario”.

Incredibilmente, a proposito di merito, il Consiglio di Amministrazione propone per il 2018, nonostante i risultati, lo stesso emolumento del 2017 (180mila euro). L’unico a tagliarsi autonomamente lo stipendio è stato il Vice Presidente.

Nel 2018 succedono diverse cose: la BPV si trasforma in società per azioni; a gennaio entra in vigore il nuovo principio contabile internazionale denominato IFRS 9, che obbliga a considerare a rischio insolvenza pagamenti scaduti da oltre 30 giorni. L’applicazione di questa regola contabile porta all’iscrizione a bilancio di nuove perdite, causa svalutazione di crediti scaduti, per 41,2 milioni di euro; nel mese di novembre 200 milioni di crediti deteriorati sono ceduti, al 30 per cento del loro valore, ad un consorzio di banche, uscendo così dalla pancia della Banca, dove ne restano altri 112 milioni, il 15 per cento dei crediti lordi. Venti punti in meno di un anno fa, ma sempre tanti.

Nel maggio 2019 si insedia un nuovo Consiglio di Amministrazione, tuttora in carica, che cercherà di raddrizzare per quanto possibile la situazione: i crediti deteriorati si riducono a 18 milioni di euro, che questa volta rappresentano il 2,6 per cento dei crediti lordi concessi, al costo, però, di una chiusura di bilancio 2021 con perdite per 4,5 milioni di euro e di un abbattimento del patrimonio netto della Banca, cioè dei mezzi propri disponibili, da 106 milioni del 2017  a 59 milioni di euro di fine 2021.

Taglio che per i  4.841 soci, detentori di 10.575.207 azioni, ha comportato un dimezzamento del valore contabile delle quote, sceso da 10 a poco più di 5 euro. Quando il valore di mercato è di poco superiore a un euro.

Il risanamento intrapreso migliora anche la Texas Ratio, l’indicatore che mette in rapporto i “prestiti non performanti”, cioè a rischio, al patrimonio netto di una banca, il quale deve essere superiore al primo per coprire le perdite, che scende da 104 per cento del 2019 al 27 per cento nel 2021.

Ovviamente la concentrazione dei maggiori crediti nel settore Attività Immobiliari, Alloggio,  Ristorazione e Commercio, settori c.d. fragili in quanto particolarmente colpiti dagli effetti della pandemia (scoppiata, però, nel 2020), non ha aiutato.

Nel mese di dicembre 2021 la Banca d’Italia conduce una ispezione ordinaria, che si conclude a marzo 2022.  Ritorno ancora più pressante la richiesta di una operazione di aggregazione con altre banche più solide.

Il resto è cronaca recente: l’assemblea dei soci boccia (novembre 2022) la fusione con Blu Banca,  che chiedeva 282 azioni BPV per ogni azione loro, arriva il commissariamento della Banca d’Italia, si riapre la gara e il 25 gennaio, termine ultimo per le manifestazioni di interesse, sono arrivate nove proposte, che dovranno presentare un’offerta per metà febbraio. La strada, probabile, è quella della fusione per incorporazione. Anche questa una storia già vista. Un modo gentile per dire che ti comprano a prezzi di saldo. Perché non hai alternative.

PS: mi chiedo quanti soci, prima di recarsi alle assemblee della Banca, leggono i resoconti annuali, di solito un paio di centinaia di pagine fitte di numeri e di termini inglesi, e soprattutto ne comprendono a pieno il contenuto, che devono poi approvare. Considerando anche le reticenze di chi li compila. Forse sarebbe utile una sintesi di cinque, massimo dieci pagine, di più facile comprensione. Come oramai si fa con tutti i documenti di una certa lunghezza e complessità.