Aspettando il Polo Tecnologico

Se  l’intento del “Technology Report 2013” della rete alta tecnologia dell’Emilia Romagna  edito da Aster, Agenzia regionale che coordina  la medesima,  è quello di “ trasmettere alla comunità regionale e in particolare alle imprese uno spaccato di cosa è possibile realizzare dedicando risorse alla ricerca industriale nell’ambito delle università e degli enti di ricerca”  forse ci è riuscito,  ma per Rimini è l’ennesima dimostrazione di una vistosa  assenza.  Dall’elenco che il Rapporto fa dei risultati concreti della collaborazione tra laboratori e imprese, questo territorio non compare, se non per qualche azienda indicata come referente. E’ vero che si tratta, come specifica l’introduzione, dei primi esempi, cui si spera ne seguiranno altri, nondimeno è la riprova di un obiettivo, la costruzione di un Polo Tecnologico locale, che quasi nessuno, né sul fronte pubblico ma nemmeno privato,  ha assunto come una vera e urgente priorità.  Tant’è che del Polo tecnologico, che deve sorgere nell’area dell’ex macello di Rimini, si parla dal 2010.

Da poco sono iniziati i lavori per  le infrastrutture di supporto,  ma un vero e proprio cronoprogramma della sistemazione degli spazi ancora non compare.  Cesena, per non andare troppo lontano, ha già avviato i lavori ed avrà il suo Tecnopolo  per l’inizio dell’anno prossimo.

Eppure tutti riconoscono che senza ricerca e innovazione non si va da nessuna parte.  In Europa l’Emilia Romagna è una “inseguitrice” nel campo dell’innovazione, dietro ad un gruppo di testa capitanato da molte regioni tedesche, ma Rimini  è ancora più indietro.  Eppure il calo, in provincia,  degli occupati che continua a ritmo sostenuto  (le persone avviate al lavoro solo nel primo trimestre di quest’anno sono diminuite del 18 per cento) dovrebbe consigliare una diversa scala di priorità.

Anche alla luce di nuovi studi  (il riferimento è all’americano Economic Policy Istitute,  Why claims of skills shortages in manufacturing are overblown)   che contestano la lettura,  troppe volte presa per buona anche dalle nostre parti,  secondo cui la disoccupazione dipenderebbe dalla crisi, ma anche da un disallineamento tra offerta e domanda.  Insomma il classico: le aziende cercano, ma non trovano i profili giusti da poter assumere.  Non è dimostrato,  salvo contate eccezioni, perché la maggioranza delle imprese manifatturiere  riesce quasi sempre a reperire la figure cercata, e se la disoccupazione si mantiene alta dipende soprattutto, scrivono gli autori,  dalla mancanza di domanda  da parte delle imprese.

Si dirà che oramai il manifatturiero conta sempre meno nell’economia, ma è una visione distorta per almeno due ragioni: perché resta il settore che investe di più in ricerca e sviluppo, creando molta innovazione (non è un caso se i prodotti che Rimini esporta di più sono abbigliamento, macchine utensili, mobili, ecc.); perché la manifattura incorpora sempre più servizi (marketing, servizi post vendita, design, ecc.) e la mera produzione rappresenta solo una  parte della catena di valore.

Questo vuol dire che molti servizi non esisterebbero, o avrebbero una dimensione ridotta, se non fossero trainati dalla domanda manifatturiera.

Infine non  va dimenticato che in Europa e in Italia, dal duemila ad oggi,  il settore alta tecnologia (farmaceutica, strumenti di precisione, aeronautica, computer, ecc.)  ha creato lavoro al ritmo più che doppio rispetto alla media, dimostrando maggiore resilienza  alle ondate di crisi. E per ogni posto di lavoro creato nell’alta tecnologia se ne aggiungono  quattro nei settori collaterali.

Una maggiore consapevolezza di questi processi dovrebbe quindi consigliare non solo di accelerare la realizzazione del Polo tecnologico, ma di dotarsi (Provincia e Comuni principali) di una politica economica di medio-lungo periodo, che non consideri il manifatturiero un residuo archeologico, ma uno dei settori su cui puntare per il futuro.