Alunni figli di immigrati: intervista a Lorella Camporesi, Dirigente della Scuola “Panzini” di Rimini

1. Nell’Istituto Panzini gli alunni che non hanno la nazionalità italiana quanti sono sul totale e quali i  principali paesi d’origine; Sono molti (in provincia il 60%) quelli, di famiglie immigrate, nati a Rimini o in Italia ?

Il nostro Istituto Comprensivo, anche a motivo della sua posizione in centro città, accoglie molti alunni stranieri: lo scorso anno si contavano 14 nazionalità. C’è una forte rappresentanza dell’estremo oriente (Bangladesh,  Cina) dei Paesi del Nord e Centro Africa, molti alunni provenienti dall’Est Europa (Albania, Macedonia, Ucraina ecc.) e un certo numero dal Sud America (Perù, Argentina).   Non tutti sono  neoarrivati: essendo minori di 14 anni, spesso hanno una nazionalità straniera anche se sono nati in Italia. Mediamente, nelle scuole del nostro istituto si conta un 15-16% di alunni non italiani, tra i quali però una buona percentuale è di seconda generazione.

2. Negli ultimi anni c’è stato un aumento o un calo degli alunni senza cittadinanza italiana iscritti ?

A differenza di quanto si potrebbe pensare non ci sono state variazioni significative, anche se la maggiore o minore presenza può essere determinata da condizioni particolari, quali ad esempio leggi che rendono più o meno facili i ricongiungimenti familiari. La crisi economica del 2008 ha determinato flussi in uscita per quelle famiglie che non avevano una stabilità economica nel nostro Paese. Probabilmente questa nuova crisi dovuta alla pandemia, colpendo altri settori, come commercio e turismo, metterà in difficoltà altre famiglie straniere.

3. Ci sono state manifestazioni di “paura” di famiglie italiane nei confronti di alunni stranieri, tanto da portare al ritiro dei loro figli? Da un punto di vista educativo e di gestione della classe, tante presenze diverse cosa comporta ?  E’ vero che “troppi” alunni stranieri hanno conseguenze negative sui normali ritmi di apprendimento ? 

La diffidenza degli italiani ha carattere “preventivo”: ci sono stati anni in cui la scuola Ferrari, notoriamente multietnica, è stata snobbata dai riminesi italiani al momento delle iscrizioni. Il timore dichiarato è quello di restare indietro con il “programma”, anche se forse dietro si nasconde una paura più profonda. Nei fatti, la presenza di alunni stranieri però non ha conseguenze negative sull’apprendimento: gli insegnanti sono spinti ad andare all’essenziale, a spiegare in modo chiaro e approfondito anche quei “nodi disciplinari” che in una classe omogenea di italiani rimangono sullo sfondo, e questo fa sì che tutti gli alunni delle classi multietniche acquisiscano buone competenze. Noi lo constatiamo  quando dopo un percorso in una nostra scuola primaria, arrivano nelle classi della nostra scuola media.

4. La scuola è anche integrazione: gli alunni, italiani e non, come vivono la diversità della loro provenienza ?  Come un problema, una ricchezza, o semplicemente lo considerano un fatto normale e non ci fanno caso ? I diversi credi religiosi, in una classe multinazionale, come si manifestano e come sono affrontati ?

La scuola è un luogo privilegiato di integrazione, soprattutto a livello di primaria, dove i bambini non filtrano i rapporti attraverso i pregiudizi degli adulti.  Al contrario di quanto si potrebbe pensare, non abbiamo mai avuto criticità rispetto alle diverse fedi religiose, perché la scuola italiana consente libertà di scelta sia per l’insegnamento della religione, sia per  le diete alimentari nelle scuole con mensa. Si impara a convivere nel rispetto dei differenti culti e abitudini.

5. Le famiglie immigrate degli alunni che rapporto hanno con la scuola che frequentano ? Sono presenti, assenti, si interessano, cosa li preoccupa di più… Il ricorso alle lezioni a distanza, causa Covid, ha le stesse conseguenze per alunni italiani e non ? 

Il rapporto con la scuola è condizionato dalla cultura di origine e dal valore che questa dà all’istruzione. Ad esempio, le famiglie cinesi tendono a pensare l’ambito scolastico e quello familiare nettamente separati e raramente partecipano, mentre le famiglie dell’est Europa intervengono anche sulle questioni didattiche; ci sono nazionalità che sono meno interessate alla frequenza scolastica delle figlie rispetto ai figli maschi e così via.

Le lezioni a distanza, più che una differenza tra italiani e stranieri, hanno messo in luce una dicotomia tra chi ha competenze e strumenti digitali e le famiglie più “povere” sotto questo aspetto. Per quanto riguarda gli strumenti (pc, smartphone), la scuola e il Comune hanno fornito aiuti; più difficile risulta affrontare la questione delle competenze informatiche della famiglia.