A Rimini persi 11 mila posti di lavoro

Sappiamo che la pandemia, nonostante il blocco dei licenziamenti, che vale solo per i contratti a tempo indeterminato, non ha fatto bene al lavoro. Ma quando le notizie che ascoltiamo nei TG approdano sul territorio che ci riguarda la preoccupazione assume tutt’altro peso.  

Preoccupazione giustificata se solo nel 2020, in provincia di Rimini, sono andati persi 8 mila posti di lavoro, che diventano 11 mila se il confronto si fa con il 2018, quando l’occupazione provinciale raggiunse il massimo storico. Dei posti persi, particolare non secondario,  9 mila sono stati sottratti alle donne. La paralisi del turismo, dove le donne sono maggioranza, sicuramente ha avuto il suo peso. Numeri pesanti, in negativo, che retrodatano l’occupazione  provinciale di almeno un quinquennio.  

Con l’effetto di vedere  ri-ampliarsi il divario tra il tasso di occupazione (quanti/e lavorano ogni cento) maschile e femminile, salito a 16,7 punti (era di16,4 nel 2019, dopo essere sceso a 13,2 nel 2018). La forbice più ampia in Emilia Romagna.

Come è il più elevato il tasso di disoccupazione delle donne riminesi, che nel 2020 ha superato l’11 per cento, quando la media regionale si attesta sotto il 7 per cento.

Per chiudere il cerchio, e non può essere un caso, risultano inattive, cioè non partecipano al mercato del lavoro, pur avendone l’età, 38 donne su cento a Rimini, contro il 27 per cento regionale.

E’ molto probabile che a scoraggiare sia la  mancanza di opportunità, più della voglia di lavorare. Ipotesi confermata dal crollo delle dichiarazioni di immediata disponibilità (DID) a lavorare rilasciate dai Centri per l’impiego di Rimini, che invece di salire, come sarebbe ovvio attendersi, sono  addirittura scese da 8 mila del 2019 a 5 mila nel 2020.

Il motivo è piuttosto semplice: non vado ad iscrivermi al Centro per l’impiego se so in partenza che non troverò niente. Si chiama scoraggiamento.   

Una conferma di questi dati occupazionali poco confortanti arriva anche dal numero di attivazioni di rapporti di lavoro, cioè gli avviamenti, ricavati dalle comunicazioni obbligatorie che tutti i datori di lavoro sono tenuti a fare. Avviamenti, si badi bene, che non coincidono con le persone perché in un anno un individuo può cumulare più contratti. Pratica frequente da alcuni anni.

Nel 2020, i rapporti di lavoro attivati in provincia di Rimini sono crollati a 69 mila, da 95 mila del 2019 (prima del covid). Turismo e altri servizi i maggiori responsabili (sappiamo non per responsabilità propria ma causa pandemia): il primo è passato da 51 a 34 mila avviamenti, il secondo da 31 a 23 mila. Hanno tenuto meglio, con perdite minime, agricoltura, industria e costruzioni.

La riduzione degli avviamenti ha interessato, con tagli compresi tra il 27 e 30 per cento, tutte le classi d’età, ma un po’ meno gli ultracinquantenni (22 per cento).

Tutte le province regionali hanno avuto le stesse perdite ? No. Per esempio Forlì-Cesena, Modena e Reggio Emilia hanno avuto perdite minori, perché la loro economia ha una presenza manifatturiera più solida.

Il recupero, auspicabile, del turismo dovrebbe migliorare la situazione, ma non dobbiamo dimenticare che l’occupazione era già in discesa prima della pandemia. A conferma che alcuni nodi non risolti preesistevano.     

Ha dichiarato il Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco nelle sue considerazione finali del fine maggio scorso: “la specializzazione in attività tradizionali e la piccola dimensione riducono la domanda di lavoro qualificato, generando un circolo vizioso di bassi salari e modeste opportunità”. Una osservazione che vale anche per Rimini.