A Rimini il Pil tiene …ma è fermo

L’Italia dal 2007, quando è cominciata la crisi, ricordiamolo sempre originata dai disastri finanziari delle banche americane e dall’assenza delle autorità di controllo, ad oggi ha perso circa 9  punti di pil reale (la ricchezza prodotta, scontata dell’inflazione) e il valore aggiunto è tornato ai livelli del 2006.  In sostanza, siamo tonati indietro di sette anni.

In questo panorama poter affermare che l’economia della provincia di Rimini non ha fatto dei grandi balzi in avanti, ma nemmeno è tornata indietro, perché dal 2007 a fine 2011, il valore aggiunto (quello che una impresa aggiunge, al netto dei beni e servizi che compra per produrre) da 8,1 miliardi è comunque salito a 8,7 miliardi di euro complessivi, è la testimonianza di una forte  volontà di resistere.  Resistenza che ha permesso di strappare anche qualche decimo di punto al valore aggiunto regionale, migliorando il contributo di questa provincia dal 6,6 al 6,9 per cento del totale.    Anzi, è proprio nel bel mezzo della crisi che Rimini ha compiuto il salto maggiore. In buona sostanza, siamo andati leggermente meglio del resto dell’Emilia Romagna.

Rimane sempre da sottolineare, però, che il peso economico riminese, sul piano regionale, non raggiunge ancora quello della popolazione, che è del 7,4 per cento.  Cioè, contiamo più come residenti che per apporto economico. Ma non sono questi gli unici cambiamenti che stanno interessando il tessuto produttivo di questa provincia. Il secondo, pur importante, riguarda la ripartizione, tra i settori delle attività, della produzione del valore aggiunto.

Già  informando dei primi risultati dell’ultimo censimento delle attività economiche (TRE di novembre 2013) abbiamo dato conto del ridimensionamento delle attività manifatturiere che nell’ultimo decennio hanno perso oltre seicento aziende.  Un risultato che trova conferma nella diminuzione del valore aggiunto prodotto dall’industria in senso stretto (escluso le costruzioni) sul totale provinciale, sceso, dal 2007 al 2011, dal 16,7 al 15,5 per cento (in Italia 18,3 per cento). Calo dello stesso tenore anche per le costruzioni, ed in forma più lieve (ma il suo contributo è minimo) per l’agricoltura.

Le perdite dei tre settori di attività sopra menzionati sono state compensate da un maggior apporto di valore aggiunto dei servizi, un amalgama che comprende tante cose, dal commercio agli alberghi, passando per le banche e i servizi sociali.

Un processo paragonabile è avvenuto anche in Emilia Romagna (calo di manifattura e costruzioni, con parallela crescita dei servizi), ma ci sono differenze che vanno evidenziate. La prima, più importante, è che pur producendo, nell’arco degli ultimi quattro anni, il manifatturiero regionale un punto in meno di valore aggiunto, ad esso rimane in carico circa un quarto del totale (contro un sesto di Rimini), che è perfino superiore al contributo al pil della manifattura tedesca, la prima in Europa.

La seconda differenza riguarda invece i servizi, che anche in Regione aumentano il loro peso relativo di quasi tre punti percentuali, ma si fermano, nel 2011, al 68 per cento scarso del valore aggiunto complessivo (dieci punti sotto Rimini).  La presenza, in riviera, di un grosso settore turistico chiaramente fa la differenza.

In tutte le economie cresce la componente dei servizi, ma pensare ad una rigida separazione tra i settori sarebbe sbagliato. Per il semplice motivo che tanti servizi, soprattutto quelli più innovativi, sono trasversali (basta pensare a tutte le utilizzazioni del web). Tanto che oggi una buona parte del valore della produzione manifatturiera, dal 55 per cento di USA e Finlandia a poco meno del 30 per cento in Germania, è costituita da servizi di alta qualità (ricerca e sviluppo, marketing, assistenza post vendita, ecc.) incorporati nei prodotti, dove la componente produzione  è solo una parte della catena del valore manifatturiero.  Questo vuol dire che tanti servizi di qualità sono trainati dal manifatturiero, che quindi ci sia o meno non è  indifferente.  Al contrario, più il manifatturiero è competitivo, migliori e più qualificati saranno i servizi richiesti, con la conseguente ricaduta sulla qualità dell’occupazione.

Dividendo la torta complessiva, comprensiva di tutti i settori, del valore aggiunto per la popolazione residente, si ricava un pro capite, nel 2011, di 28 mila euro, che mette Rimini sullo stesso piedistallo dell’Emilia Romagna (a sua volta 5 mila euro sopra la media nazionale). Con una piccola differenza: mentre il dato regionale è rimasto fermo negli ultimi quattro anni, quello di Rimini è aumentato di due mila euro, nonostante la crisi.

Proseguirà questa tendenza anche nel 2012 ?  Secondo  il rapporto sulla qualità della vita pubblicato da Il Sole 24 Ore nel dicembre scorso, il pil per abitante 2012 di Rimini è dato a 26 mila euro, penultimo in regione e superiore solo a quello di Ferrara (a Bologna, prima provincia dell’Emilia Romagna e terza in Italia, è di 31 mila euro).